L’impronta genetica della violenza: “Cambia il Dna per generazioni”
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(Adnkronos) – Nel febbraio del 1982 il governo siriano guidato dal dittatore Hafez al-Assad assediò la città di Hama, a maggioranza sunnita, per reprimere un'insurrezione organizzata dai Fratelli Musulmani. Furono uccise decine di migliaia di persone, una carneficina che 4 decenni dopo ispirò il rovesciamento della famiglia Assad. Non fu questo, però, l'unico effetto a lungo termine del massacro di Hama. Ce n'è un altro ed è impresso nel Dna delle famiglie siriane, marchiato per sempre da quei fatti: i nipoti delle donne incinte durante l'assedio, pur non avendo vissuto di persona le violenze di Hama, ne portano i segni dentro i geni. Questa impronta, descritta in uno studio pubblicato sulla rivista 'Scientific Reports' del gruppo Nature, è la prima prova umana di un fenomeno che prima d'ora era stato documentato soltanto negli animali: la trasmissione genetica dello stress attraverso le generazioni. "L'idea che traumi e violenze possano avere ripercussioni sulle generazioni future dovrebbe indurre le persone a essere più empatiche e i decisori politici a prestare maggiore attenzione al problema", afferma Connie Mulligan, professoressa di antropologia e del Genetics Institute dell'università della Florida, autrice principale della ricerca. "Potrebbe persino aiutare a spiegare alcuni dei cicli intergenerazionali apparentemente infiniti di abusi, povertà e traumi che vediamo in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti", aggiunge la docente. Insieme a Rana Dajani, biologa molecolare della Hashemite University in Giordania, e all'antropologa Catherine Panter-Brick dell'università di Yale, in questo studio definito "unico" e sostenuto dalla National Science Foundation americana Mulligan ha cercato nel Dna delle famiglie siriane le 'bandiere chimiche' che le cellule attaccano ai geni per modularne il comportamento in risposta a eventi stressanti o traumatici. In gergo scientifico si chiamano cambiamenti epigenetici, una forma di adattamento dell'organismo a ciò che lo circonda e che gli capita. Se precedenti test di laboratorio erano riusciti a dimostrare che gli animali possono trasmettere le firme epigenetiche dello stress alle generazioni successive, mancava ancora la prova che la stessa cosa succede negli esseri umani. L'indagine ha coinvolto 3 generazioni di immigrati siriani. Alcune famiglie avevano vissuto l'attacco di Hama prima di fuggire in Giordania; altre hanno evitato Hama, ma non la recente guerra civile contro il regime di Assad. Lo studio è stato quindi disegnato in modo da coinvolgere nonne, madri e figli che avevano vissuto la violenza in diverse fasi della loro esistenza. Rappresentanti di generazioni diverse, dai quali sono stati prelevati campioni biologici da confrontare con quelli di un terzo gruppo di famiglie che erano immigrate in Giordania prima del 1980, risparmiandosi tutti gli accadimenti violenti che sarebbero seguiti. Figlia di rifugiati siriani in Giordania, Dajani ha lavorato a stretto contatto con la comunità esule per infondere fiducia e interesse nel partecipare alla ricerca. La biologa ha potuto così raccogliere tamponi di guancia da 138 esponenti di 48 famiglie "desiderose che la loro storia venisse raccontata, che le loro esperienze fossero ascoltate", sottolinea Mulligan. Nel suo laboratorio in Florida la scienziata ha analizzato col sul team il Dna contenuto nei campioni, scoprendo nel genoma dei nipoti 14 aree modificate in risposta alla violenza subita dalle nonne, nonché 21 siti epigenetici nei genomi di chi aveva sperimentato direttamente la catena di violenze in Siria. Ancora, i ricercatori hanno osservato che le persone esposte a fatti violenti mentre erano nel grembo materno presentavano segni di aging epigenetico accelerato, un tipo di invecchiamento biologico associato al rischio di malattie legate all'età. La maggior parte delle alterazioni individuate mostrava lo stesso schema dopo l'esposizione alla violenza, suggerendo l'esistenza di una risposta epigenetica comune allo stress, che può influenzare i destini di chi lo ha vissuto di persona come quelli delle generazioni future. "Pensiamo che il nostro lavoro sia rilevante per molte forme di violenza", precisa Mulligan: "Non solo quella sperimentata dalle popolazioni rifugiate, ma anche la violenza domestica, quella sessuale, la violenza armata. Tutte forme di violenza che viviamo anche negli Usa e che dovremmo studiare e considerare più seriamente", riflette l'antropologa. "Non è chiaro – puntualizzano gli autori – quale effetto, se ancora presente, abbiano questi cambiamenti epigenetici nella vita delle persone che li portano scritti dentro i loro genomi. Ma alcuni lavori hanno indicato un collegamento tra cambiamenti epigenetici indotti dallo stress e malattie come il diabete". Ad esempio, "un famoso studio sui sopravvissuti olandesi alla carestia durante la Seconda guerra mondiale ha suggerito come la loro prole portasse nel Dna cambiamenti epigenetici che aumentavano la probabilità di sviluppare sovrappeso più tardi nella vita. Se molte di queste modifiche probabilmente non hanno alcun effetto, è possibile che alcune possano influenzare la nostra salute", avverte Mulligan. Mentre cercavano le prove degli effetti duraturi di guerre e traumi nel genoma dei siriani, la scienziata e i suoi colleghi sono rimasti colpiti dalla tenacia delle famiglie con cui hanno lavorato, una resistenza che andava ben oltre l'istinto di sopravvivenza. "In mezzo a tutta la violenza" di cui sono stati testimoni o eredi, i ricercatori hanno potuto toccare con mano "la loro straordinaria resilienza. Stanno vivendo vite soddisfacenti e produttive, hanno figli, portano avanti le tradizioni. Hanno perseverato. Questa resilienza e perseveranza – chiosa Mulligan – rappresentano molto probabilmente un tratto unicamente umano". —salute/medicinawebinfo@adnkronos.com (Web Info)