Il 2011 secondo Paolo Romani: Napolitano e la mancanza di un “golpe bianco”

Roma. La morte del presidente emerito Giorgio Napolitano, a pochi mesi da quella dell’ex premier Silvio Berlusconi, segna idealmente una linea con il recente passato. Durante quel periodo, a destra si sono udite parole pesanti come “golpe bianco”, riferendosi al biennio 2010-2011, alla fine dell’ultimo governo Berlusconi e all’inizio del governo tecnico di Mario Monti. Tuttavia, l’ex deputata di An e giornalista Flavia Perina ha definito Napolitano come un “arbitro equidistante” e ha invitato la classe politica post-berlusconiana a “eliminare l’idea di complotto” e a valutare liberamente il percorso dei due presunti nemici. È possibile che nel centrodestra, mentre alcuni protagonisti di quel periodo rendono omaggio a Napolitano, si possano riesaminare gli eventi oggetto di eterna polemica? Abbiamo parlato di questo con Paolo Romani, ex senatore di Forza Italia ed ex ministro dello Sviluppo Economico nel quarto governo Berlusconi. Romani afferma che l’interpretazione di una strategia nascosta dietro agli eventi che hanno portato alla fine del governo Berlusconi e all’arrivo di Monti non rispecchia la verità. A distanza di anni, analizzando i fatti, si può chiaramente vedere che ci sono state diverse cause che hanno portato alla caduta del governo e all’insediamento del governo tecnico. Romani parte dalla lettera della Banca Centrale Europea del 5 agosto 2011, firmata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, in cui veniva chiesto all’Italia di adottare misure di austerità. È vero che questa lettera ha messo il governo in difficoltà, ma è anche vero che Napolitano, durante quell’estate e dopo il G20 del 3 novembre 2011 a Cannes, ha compreso non solo il problema esterno e l’atteggiamento critico di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy verso Berlusconi, ma anche le divisioni all’interno del governo, in particolare sulla risposta alla Bce riguardo alle pensioni. Oltre allo spread e all’intervento in Libia, pesava anche il fatto che alcuni ministri non fossero allineati con il premier. A tutto ciò si aggiungeva la stanchezza psicologica di Berlusconi a causa dei suoi problemi giudiziari e delle polemiche sulla manovra economica di quell’anno. Tutte queste circostanze, unite al distacco dei finiani dalla maggioranza, hanno portato la presidenza della Repubblica a considerare altre opzioni, ma non c’era una precisa strategia dietro. È stata anche menzionata la giostra dei “responsabili” e il totonomi “Monti-Tremonti”. Nel 2010, il governo si era salvato per pochi voti. Romani ricorda una riunione con Berlusconi alla fine del 2011, quando Raffaele Fitto annunciò la nomina di Mario Monti a senatore a vita. Le dimissioni del premier, che non erano scontate, arrivarono tre giorni dopo. Ci sono state persone nell’entourage di Berlusconi che gli hanno consigliato di lasciare. Napolitano, di fronte alla mancanza di una maggioranza certa, ha spinto verso una possibile soluzione della crisi. Nel 2013, Berlusconi ha votato per la rielezione di Napolitano, dimostrando che non ha mai creduto nella teoria del complotto. Romani afferma che non c’è un collegamento diretto tra i due momenti. Nel 2013, Berlusconi ha scelto quella che riteneva fosse la migliore strada da percorrere, anche per tornare in campo.

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