Il golpe di Pinochet in Cile nel 1973: opinione divisa sul ricordo

Cinquant’anni fa, il 11 settembre del 1973, il Cile fu scosso dal colpo di Stato militare guidato dal generale Augusto Pinochet. Oggi, il presidente cileno Gabriel Boric, nato dopo il colpo di Stato e il più a sinistra dal ritorno della democrazia, si prepara a ricordare l’anniversario in una cerimonia solenne assieme ai presidenti di Argentina, Colombia, Messico e Uruguay. Nonostante la democrazia sia ora una realtà consolidata in Cile, il paese è ancora diviso sulla memoria di quegli anni bui. I corpi di oltre 1400 persone scomparse durante la dittatura non sono mai stati ritrovati.

In risposta a questa situazione, Boric ha promesso di avviare un “piano nazionale di ricerca” per scoprire la verità sulle persone scomparse. Il 7 settembre, ha riunito i suoi predecessori Sebastian Pinera, Michelle Bachelet ed Eduardo Frei, per firmare un documento in cui si impegnano a mettere da parte le loro differenze per “curare e difendere la democrazia e rispettare la costituzione” in occasione dell’anniversario.

Tuttavia, a testimonianza di un clima politico polarizzato, il conservatore Pinera ha già dichiarato che non parteciperà agli eventi ufficiali del lunedì. Le autorità hanno anche invitato i cittadini a evitare di recarsi nel centro di Santiago, nella speranza di mantenere la pace. Oggi, il 70% della popolazione cilena è nato dopo il colpo di Stato. Secondo un sondaggio, il 70% dei cileni ritiene che la commemorazione del cinquantenario del colpo di Stato sia divisiva e il 56,5% si dichiara poco interessato all’evento. Il 52% ha un’opinione negativa su Pinochet, mentre il 32,6% giustifica il golpe. Il 39,9% ritiene che la colpa del golpe sia da attribuire all’ex presidente Salvador Allende, il 30,8% punta il dito contro le Forze Armate e il 30,6% accusa la CIA.

Questa divisione sulla memoria riflette un clima di polarizzazione politica, con il governo di sinistra di Boric che ha perso il referendum per riformare la costituzione lo scorso anno e l’estrema destra di José Antonio Kast, vicino ai nostalgici del golpe, che si è affermata alle elezioni di maggio per il Consiglio costituzionale che dovrà proporre un nuovo testo. L’atmosfera in Cile è descritta come “elettrica”, e l’anniversario continua a mettere in evidenza la difficoltà di affrontare il passato in modo condiviso.

Il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 ebbe inizio alle 6 del mattino, quando la marina cilena occupò il porto di Valparaiso. Allende, presidente socialista all’epoca, venne informato della situazione e si recò al palazzo presidenziale della Moneda, dove i militari gli intimarono di arrendersi e lasciare il Paese. Allende rifiutò e cercò di difendere il palazzo con i suoi collaboratori. Tuttavia, i carri armati del generale Pinochet avanzarono verso la piazza, mentre l’aviazione bombardava la Moneda. Allende chiese ai suoi collaboratori di lasciare il palazzo e registrò un ultimo discorso alla nazione prima che i golpisti prendessero il controllo. Secondo la versione più accreditata, Allende si suicidò prima dell’arrivo dei militari.

Il golpe diede il via a una violenta dittatura. Nei cento giorni successivi, furono uccise 1.823 persone in caserme e postazioni militari vicino a Santiago. Molti oppositori vennero imprigionati e torturati nello stadio. Centinaia di persone furono salvate grazie all’ambasciata italiana, che offrì loro asilo e salvacondotti per lasciare il paese.

Il Parlamento fu sciolto, i partiti politici sospesi e Pinochet fu nominato “capo supremo della Nazione”. Nel 1980, venne approvata una nuova costituzione che conferì a Pinochet altri otto anni di mandato. Tuttavia, nel 1990, i cileni respinsero con il 55,4% il referendum per estendere ulteriormente il suo mandato.

Nel dicembre 1989, il democristiano Patricio Aylwin vinse le elezioni, riportando il Cile alla democrazia. Pinochet rimase comandante in capo dell’esercito fino al 1998 e fu poi nominato senatore a vita. Nel 2000, Pinochet fu privato dell’immunità e il Cile cercò di affrontare il proprio passato. Amnesty International stima che almeno 40.000 persone siano state vittime della dittatura. Tuttavia, nel 70% dei casi, non è stata fatta giustizia.

L’anniversario di questo tragico evento continua a richiamare l’attenzione sulle ferite ancora aperte nella società cilena. Organizzazioni come Amnesty International cercano di mantenere viva la memoria affinché l’orrore del passato non venga dimenticato.

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