Le testimonianze dei soccorritori in mare: un’esperienza simile a manichini rotti
Lampedusa, 3 ottobre 2013 – Un’immagine sconvolgente: un corpo in acqua, con le braccia aperte e le gambe piegate in modo innaturale. A prima vista sembra un manichino rotto, ma uno zoom dell’elicottero rivela che si tratta di un uomo, forse solo un ragazzo. Attorno a lui ce ne sono molti altri. Una scena mai vista.
Il pattugliatore Vega, con a bordo l’elicottero Ab 212 della Marina Militare, è stato il primo a raggiungere il luogo della tragedia di Lampedusa. “In mare c’erano molti naufraghi, una chiazza di liquido, forse carburante, e nessun segno dell’imbarcazione”, racconta il tenente di vascello Giovanni Urro, comandante della nave militare.
All’alba di oggi, la Capitaneria di porto di Palermo ha richiesto l’intervento dell’elicottero per un naufragio segnalato. Il quadro è stato subito chiaro: il barcone è affondato a circa mezzo miglio a sud dell’isola dei Conigli. Il pilota dell’elicottero ha coordinato l’azione dei mezzi di soccorso, indicando la precisa posizione dei naufraghi sparsi su un’ampia area.
I soccorritori sono arrivati immediatamente. Sono stati salvati 155 naufraghi, ma si teme che non ci siano più speranze di trovare altri vivi. I superstiti vengono portati sul molo Favarolo con le motovedette della Guardia costiera, della Guardia di Finanza, dei Vigili del fuoco e dei Carabinieri. Lì vengono anche sistemati i corpi dei loro compagni morti, avvolti in coperte isotermiche lucide che sembrano di carta stagnola. Sono esausti e i soccorritori li aiutano a scendere. C’è pianto e rabbia sul molo Favarolo.
“Non sappiamo più dove mettere i morti e i vivi. È un orrore”, dice commossa il sindaco Giusi Nicolini, mentre le motovedette cariche di cadaveri arrivano e partono. “È una mattanza, una mattanza che bisogna fermare”, urla don Stefano Nastasi, il prete che ha invitato Papa Francesco a Lampedusa, presente anche lui sul molo.
“In tanti anni di lavoro non ho mai visto niente di simile”, ammette Pietro Bartolo, responsabile del Poliambulatorio di Lampedusa, che ha curato i superstiti per tutto il giorno. Sulla banchina del porto ci sono ambulanze, medici e infermieri, ma purtroppo sembrano inutili. “Non ci servono ambulanze, ma carri funebri”, afferma Bartolo.
Gli abitanti di Lampedusa cercano di dare una mano, compresi quelli che erano in mare. Come i pescatori che, appena hanno visto le fiamme che si alzavano dal barcone, sono accorsi per primi sul posto. “Abbiamo salvato 18 persone vive e recuperato 2 morti. Poi sono arrivate le motovedette”, racconta Francesco Colapinto, 24 anni, che era a bordo del peschereccio Angela C. e ha ancora l’orrore stampato sul volto.