Sentenza della Corte di Cassazione sul salario minimo: La decisione dei giudici spiegata
Una storica sentenza sulla questione del salario minimo è stata evidenziata dalle opposizioni al governo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La Corte di Cassazione ha ribaltato una sentenza di secondo grado, stabilendo la prevalenza dell’articolo 36 della Costituzione. Secondo questa sentenza, la retribuzione deve essere “sufficiente” per garantire un’esistenza “libera e dignitosa”, e la contrattazione collettiva non può comportare una riduzione del giusto livello di salario.
È la prima volta che la Cassazione affronta questo dibattito, permettendo al giudice di mettere in discussione contratti poveri come quello del Ccln Servizi Fiduciari. È anche la prima volta che la Cassazione parla di “povertà nonostante il lavoro”, introducendo così la categoria di lavoro povero nel dibattito giurisprudenziale. La sentenza afferma inoltre che la contrattazione collettiva da sola non è sufficiente per stabilire un salario giusto, ma si può fare riferimento ad altri contratti simili, indicatori economici e statistici, nonché alla Direttiva Ue 2022/2041, che sostiene che il salario non deve solo consentire di uscire dalla povertà, ma anche di partecipare ad attività culturali, educative e sociali.
La segretaria del Pd, Elly Schlein, ritiene che questa sentenza confermi la necessità e l’urgenza di stabilire un salario minimo in base ai principi stabiliti dalla Costituzione. La contrattazione collettiva, soprattutto in alcuni settori, deve essere sostenuta per garantire a chi lavora il diritto a un’esistenza dignitosa.
Il leader di Azione, Carlo Calenda, commenta che la Cassazione è arrivata a una decisione importante che ribadisce quanto da tempo viene denunciato sul lavoro povero. È ora di agire senza ulteriori ritardi e dimostrare che la politica riconosce il diritto a uno stipendio dignitoso garantito dalla Costituzione.